LA CASA DEL MAGO di Emanuele Trevi

L’atteso ritorno in libreria di Emanuele Trevi, Premio Strega 2021, ha come titolo “La casa del mago” in cui racconta il padre psicanalista junghiano e la casa in cui lo scrittore è andato a vivere e che usa come mappa per ricostruire la vita del padre e il rapporto con lui, tra libri di Jung e misteriose visitatrici notturne.

SCHEDA LIBRO

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LA CASA DEL MAGO

  • Autore: Emanuele Trevi
  • Editore: Ponte alle Grazie
  • Data di uscita: 05 Settembre 2023
  • Pagine: 256 p.
  • Prezzo: 18 €
  • Genere: Narrativa
  • EAN: 9788833316659

TRAMA

Nel memorabile incipit di questo libro, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre gli ripete spesso un’istruzione enigmatica: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo (ad esempio, fra le calli di Venezia, in una passeggiata dell’infanzia) occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza. Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Così il figlio decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua atmosfera inquieta e feconda, e così facendo prova a sciogliere (o ad approfondire?) l’enigma del padre.

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Muovendosi nel suo sempre mutevole territorio, fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e dell’esistenza, storia culturale del Novecento (ne La casa del mago – accanto a straordinari personaggi contemporanei, tra cui spicca Paradisa, una prostituta peruviana – figurano Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard…), Emanuele Trevi ci offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico (e perfino umoristico): una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più semplici rimandano alla trama più sottile dell’essere, se li si ascoltare, se si sa lasciarli accadere.

RECENSIONE

Tra le persone doppiamente fortunate, c’è senz’altro chi possiede quella di avere intorno chi ti insegna qualcosa senza l’intento di farlo, non dispensando consigli o, se dati, senza la pretesa che tu li segua, non preparando “lezioni”, ma incarnando un modello che vive nel rispetto di chi si è e di ciò che si vuol fare, facendo respirare questo concetto, solo apparentemente semplice, a coloro che hanno accanto e che un giorno riusciranno anche a parlarne, della consapevolezza di aver avuto in sorte tanto, grazie al puro caso in cui a volte il destino ti mette vicino un’anima piuttosto che un’altra, e di cui solo crescendo, o nel suo distacco terreno, se ne comprende appieno il valore.

A me, di conoscere me stesso e di sapere come sono fatti gli altri non me ne era mai fregato un granché. Ho la sensazione che se qualcuno procede come può nella vita lo fa generalmente a sua insaputa: di nascosto da sé stesso, per così dire. Meno ti conosci, meglio stai. Quanto agli altri, la cosa più importante non è come sono fatti, ma che mi vogliano bene. Io sono come un cane, aspetto la carezza, il biscottino. Il cane non si conosce e non sa com’è fatto nessuno. L’unica verità del mondo, per lui, consiste in quella carezza, in quel biscottino.

Se quest’anima poi, è la stessa che ha generato la tua vita e accanto alla quale hai potuto spiarne pregi, mancanze, distrazioni, successi, talenti, altruismi, amori, delusioni, sofferenze, malattie, senza veder mai tradite le sue ideologie, perseguendo un cammino faticosamente guadagnato, a dispetto di ostacoli e – per chi ci crede – astri avversi e il tuo lavoro ha a che fare con le parole, pescate anche dai ricordi e dalla volontà di portare fuori mondi d’altri, ecco che la fortuna si compie due volte. Prima, nel viverti quella persona e poi nel farla rivivere.

La tendenza fatale di tutte le cose a non essere ciò che sembrano, e a sembrare ciò che non sono, è il più universale dei motori narrativi. Quello che il grande romanziere definiva «belva» si potrebbe ugualmente chiamare «vita»: che è pur sempre la più incoerente e meno prevedibile delle belve.

Questo non comune privilegio lo ha uno degli scrittori italiani più incisivi e letti del suo tempo, Premio Strega 2021 con Due Vite, Emanuele Trevi, che torna in libreria con “La casa del mago”, in cui, proprio come nel racconto che gli valse il premio e in cui srotolava il tappeto dei ricordi parlando della sua salda amicizia con due figure della letteratura italiana prematuramente scomparse, gli scrittori Pia Pera e Rocco Carbone, qui lo fa attingendo ad un altro bellissimo pozzo di racconti, realtà di una delle figure centrali della sua vita, il padre Mario Trevi, celebre studioso psicoanalista junghiano, allievo del berlinese Ernst Bernhard ,“curatore” di molti pazienti vip negli anni della Dolce Vita, come Federico Fellini e Natalia Ginzburg.

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo bisogno di essere sciolti: non solo dal falso destino che gli altri hanno scelto per noi (che sarebbe il meno) ma da quello (altrettanto falso) che noi stessi ci costruiamo intorno mentre viviamo. Credo che persone come Bernhard o mio padre riuscissero ad agire, delicatamente ma energicamente, proprio sull’idea di sé, con tutto il suo contorno di desideri illusori, che falsifica il destino degli esseri umani rendendoli infelici, bisognosi, pieni di insistenti e micidiali rancori.

Ma se è un privilegio, riuscire a fermare con la scrittura, pezzi di vita e di morte di chi li racconta, lo è altrettanto quello di poterne avere accesso, leggendone. Trevi si conferma un fuoriclasse nel tenere il lettore appeso al filo dei suoi pensieri, delle sue sensazioni, del suo sguardo sul mondo in rapporto a chi c’è e a chi non c’è più, che è personale, ma incredibilmente abile nel costruire dimensioni empatiche e di ritrovamento.

Una lettura colta e leggera, una forma di intrattenimento attraverso l’analisi della relazione figlio-padre, in cui le vicende vengono raccontate in modo scorrevole, ironico e a tratti umoristico, mentre, contemporaneamente, l’autore fa incursioni culturali tra psicanalisi e letteratura, citando autori importanti, molti dei quali conosciuti personalmente o con cui il padre ha avuto rapporti.

Gli artisti, pur condividendo con il resto dell’umanità le eterne miserie umane, sono talmente in balìa dei loro stati d’animo, talmente insicuri riguardo alle loro capacità, e al senso stesso di ciò che fanno, che il ricorso a un guaritore si presenta come un fatto della loro vita se non assolutamente necessario, almeno prevedibile, come farsi misurare la pressione o pagare le tasse. Simpatici o antipatici, futuristi o passatisti, maschi o femmine, figurativi o cubisti… tutti gli artisti, alla fine della fiera, hanno un motore identico: vogliono essere amati, e pretendono di rimediare con il loro talento al pozzo senza fondo del bisogno – perché l’amore non basta mai a nessuno. E questo li rende fragili, poco padroni di sé stessi, come se un pezzo del loro cuore battesse sempre nel petto di qualche sconosciuto.

La casa del titolo, come è intuibile, è quella in cui viveva e lavorava il padre-mago, ed è il contesto in cui lo scrittore scioglie o rinsalda, tutti i nodi della sua esistenza, a seconda di ciò da cui ormai si sente libero o ancora (volutamente) imbrigliato. Mura che inizialmente teme, troppo piene di tutto ciò che non sa ma vorrebbe scoprire, e mura che imparerà ad amare, anche riscoprendo oggetti che sembrano parlargli, ed ereditando da quest’esperienza, distillati di saggezza respirati sin da bambino.

Tra autobiografia e finzione, un romanzo personale in cui cerca di svelare l’enigma del padre, di raccontarne nei dettagli più intimi il suo carattere assorto e riservato, la sua personalità colta e singolare, dimostrando di non soffermarsi mai sugli aspetti vittimistici nei confronti della scelta di parlare spesso di chi non c’è più, mai autoreferenziandosi, nel mettere al centro ciò che di sé ha dato agli altri, ma sempre regalando a chi lo legge, la possibilità di interrogarsi circa chi siamo di fronte alle persone che diciamo di amare, fermamente convinto che scrivere di persone e vicende reali non è troppo diverso dal cimentarsi con storie totalmente inventate.

NOTE SULL’AUTORE EMANUELE TREVI

Emanuele Trevi

Emanuele Trevi (Roma, 7 gennaio 1964), tra i più apprezzati scrittori e critici della sua generazione, collabora con il «Corriere della Sera». Ponte alle Grazie ha pubblicato i tre romanzi Qualcosa di scritto (2012, finalista Strega, vincitore del Premio Europeo per la Letteratura, tradotto in diciotto lingue), Sogni e favole (2019, Premio Viareggio) e Il figlio del mago (2023), e una nuova edizione del saggio Musica distante (2012). Tra i suoi altri libri ricordiamo Istruzioni per l’uso del lupo (Castelvecchi, 1994), I cani del nulla (Einaudi, 2003), Senza verso (Laterza, 2004), Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, 2010), Il popolo di legno (Einaudi, 2015). Con Due vite (Neri Pozza, 2020) ha vinto il Premio Strega 2021.

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8 Commenti
  1. Erika

    Mi sembra un libro perfetto per questa stagione, sono contenta tu l’abbia menzionato perché nonostante il Premio Strega di due anni fa, non l’avevo mai sentito prima.

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    • Manu Luna

      C’è sempre tempo, cara Erika, per scoprire ed innamorarsi di autori nuovi! Sono contenta di averti dato lo spunto, grazie a questa recensione.

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  2. Tommaso Cutrì

    Tale recensione, ci fa scoprire ogni volta le varie sfaccettature di ogni testo, che ci mette la voglia di leggere il libro.
    Brava Manu

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    • Manu Luna

      Mi fa piacere leggere questo, Tommaso. Ti ringrazio per i tuoi entusiastici commenti!

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  3. Antonella Valentini

    Non lo conoscevo, del resto il mondo degli artisti-scrittori è così vasto che rischi di perderne le tracce. Detto questo ringrazio ancora una volta per le recensioni che mi consentono di ampliare il mio di mondo, di letture che mi sfuggirebbero. Sarà un altro di quei libri che sicuramente metterò sul tavolino per l’autunno.

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    • Manu Luna

      Grazie a te, che con il tuo fedele e stimato seguito, ci rendi partecipe di ciò che cattura il tuo interesse. Aggiungilo pure alla tua pila di libri, Trevi non delude mai. Un abbraccio Antonella!

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    • Peppe

      Recensione di livello per un autore di spessore. Alcuni passi del libro, proposti nell’articolo, lasciano denotare lo stile di scrittura di Trevi, molto bravo a tenere sospeso il lettore al filo dei suoi pensieri, giocando, se così si può dire, con l’empatia dello stesso, come da te ben sottolineato nella recensione.
      Empatia tuttavia che non va data per scontata, c’è chi ne è privo o chi addirittura più che immedesimarsi dando una sua libera interpretazione a quanto gli viene posto di fronte.
      Scrivere di fatti reali del proprio padre, facendo sembrare il tutto surreale, confrontarsi con il proprio rapporto genitoriale con il senno di poi, a mio avviso lo si può fare raggiunto un equilibrio mentale tale da prendere consapevolezza ed essere riconoscenti del proprio vissuto.
      Penso che chiunque abbia avuto il proprio incontro-scontro generazionale con il proprio genitore, chi prima, chi dopo, avrà il suo periodo per darne valutazione, essere riconoscente oppure rimanere intrappolato alle proprie convinzioni e magari ai successivi rimpianti.
      Complimenti sempre Manu per il tuo lavoro, con la recensione di questo libro ti sei superata.

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      • Manu Luna

        Ciao Peppe, quest’ultima al nuovo libro di Trevi, è una recensione che mi ha coinvolto particolarmente, nella sua stesura. E la cosa, noto con piacere che non è sfuggita al tuo occhio attento, come sottolinei in chiusura. Concordo con le tue riflessioni circa il rapporto che può instaurarsi nel corso degli anni e delle rispettive crescite ed evoluzioni, riguardanti un padre e un figlio. Lo scrittore ha avuto il privilegio di averne uno speciale, fuori dall’ordinario, e questo libro ne è un omaggio a lui, profondissimo.

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