Doveva essere il nostro momento di Eleonora C. Caruso

 Attraverso i formidabili personaggi del suo ultimo romanzo “Doveva essere il nostro momento”, Eleonora C. Caruso mette in scena le paure, i desideri e i fallimenti di due generazioni, sempre sul punto di afferrare il senso, che continuamente sfugge, della propria esistenza nel mondo, a cui aggrapparsi quando ogni cosa sembra scivolare verso la rovina.

SCHEDA LIBRO

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DOVEVA ESSERE IL NOSTRO MOMENTO

  • Autrice: Eleonora C. Caruso
  • Editore: Mondadori
  • Data di uscita: 20 giugno 2023
  • Pagine: 396 p.
  • Prezzo: 20 €
  • Genere: Narrativa
  • EAN: 9788804761068

Una ragazza è seduta su una ruota di scorta bucata, in mezzo al nulla della campagna novarese. I suoi capelli, un tempo rosa zucchero filato, ora sono un garbuglio di colori improbabili. Pochi riconoscerebbero in lei Cloro, celebrità di internet con milioni di follower in tutto il mondo. Insieme a lei, a tentare di riparare un’auto che ha macinato migliaia di chilometri, c’è Leo, trentaquattrenne disilluso, che dalla vita non ha avuto nulla di ciò che si aspettava – e dire che non si aspettava molto. Soltanto uno come lui, senza niente da perdere, avrebbe accettato di partire da Milano alla volta dell’entroterra catanese per recuperare un amico finito in una presunta setta in cui si vive come negli anni Novanta. La setta esiste davvero, all’interno di una masseria abbandonata, ed è guidata da Zan, un uomo ambiguo e magnetico convinto di aver compreso la Verità dopo un lavoro da incubo come moderatore di una piattaforma. Leo rimane alla masseria per tre mesi, ma si accorge di Cloro solo quando lei gli chiede un passaggio per Milano. Inizia così il loro viaggio in auto dalla Sicilia alla Lombardia, sedici ore previste che si dilatano in cinque giorni, attraverso varie tappe in città e paesini dalle atmosfere sempre più surreali, perché l’Italia sta per entrare in lockdown. Leo e Cloro, che non potrebbero essere più diversi, durante il viaggio ricostruiscono le loro vite e le ragioni che li hanno portati alla masseria, discutono, si fraintendono, si allontanano e si avvicinano di nuovo, più simili di quanto entrambi siano disposti ad accettare. Con Doveva essere il nostro momento , Eleonora C. Caruso continua un percorso ideale iniziato con Le ferite originali e proseguito con Tutto chiuso tranne il cielo per consegnarci il suo romanzo più stratificato e compiuto.

RECENSIONE

Ci sono momenti che ti cambiano la vita mentre compi azioni apparentemente normali, che sono permeate da una segreta ma precisa speranza di pilotare il destino a tuo favore, come comprare un biglietto della lotteria (se poi si rivela vincente), inviare curriculum (per concretizzare un lavoro), leggere un libro (sapendo di trovare arricchimento), accompagnare un amico ad un provino ed essere scelto al suo posto (frutto del caso molto meno di quanto chi lo racconta faccia passare), dare un passaggio in macchina ad una sconosciuta (ecco, questo forse è l’esempio in cui non subentra necessariamente alcun tipo di aspettativa).

Anzi, è proprio da quest’ultimo che parte la storia di un lui e una lei, molto speciali. Protagonisti dell’ultimo romanzo “Doveva essere il nostro momento” della scrittrice Eleonora C. Caruso, che ci mette al volante di una vecchia Fiat Uno, insieme al suo conducente, Leo, che a pochi giorni dallo scoppio della pandemia in Italia, periodo in cui è ambientato il libro, tocca alcune regioni d’Italia per andare a recuperare un amico, che si è messo in testa di trascorrere la vita in una masseria catanese in cui gli “abitanti” vivono rifiutando la vita com’è, dopo l’anno 2001. Una sospensione dalla realtà da cui vuole strapparlo, nonostante riconosca che la vita, il mondo, per com’è ORA, fa parecchio paura. Un luogo in cui si vive come negli anni ’90, dove il tempo scorre lento e si deve impiegare pensando, facendo, parlando, sognando. Tutte cose che ormai trascuriamo? si chiede Leo, che non è più un ragazzino ma che non si sente ancora un uomo.

Che cos’era Leo, un giovane o un adulto? Gli sembrava di avere i tratti peggiori di entrambi i gruppi, di essere nato persona ed essersi strada facendo trasformato in un animale grottesco, metà uomo e metà macchina produttiva alimentata a rancore. Sarebbero dovuti essere speciali, l’anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo millennio, tra l’analogico e il digitale, e invece non erano niente. Non erano stati destinati a niente. Non avevano lasciato alcuna traccia, se non battute ironiche sotto infinite discussioni inutili.

All’interno di questa setta, ruota il “guru” Zan, figura di cui tutti subiscono il fascino e che è il principale sostenitore di quanto il mondo di oggi non meriti di essere ascoltato, perché è tutto già deciso da chi governa poteri e limitazioni della nostra individualità, volendo renderci tutti uguali e illusori padroni di identità patinate e vere solo agli occhi di si vende nello stesso modo. La finta inclusivitá che ci hanno insegnato per trovarci oggi ad assistere a scempi contro natura, in cui si ledono i diritti umani. E tra una sua teoria e l’altra, i millennials nostalgici come me, godranno delle righe in cui si usano i portachiavi a forma di ciucci, si segue alla tv il Festivalbar, si masticano morositas, si scrive sulla Smemoranda e i primi video su you tube costituiscono un evento.

Il problema non era la realtà, perché la realtà è sempre stata uno schifo. Ma noi non dovevamo assorbirla con la frequenza con cui la assorbiamo adesso. Noi non siamo stati creati così. Non siamo fatti per sapere cosa pensano e fanno gli altri ventiquattro ore su ventiquattro. Non dovremmo essere sottoposti continuamente all’odio degli altri. Non dovremmo vedere tutto quello che vediamo, con la frequenza con cui lo vediamo. Una volta pensavamo, elaboravamo… adesso inghiottiamo come dei tritarifiuti, in fretta e senza fiatare, perché arriva sempre qualcosa di nuovo, qualcos’altro a cui dobbiamo essere esposti, qualcos’altro su cui ci dobbiamo esprimere. Abbiamo alterato la chimica dei nostri cervelli. Anche il nostro ritmo circadiano: questa roba è la prima che leggiamo al mattino e l’ultima prima di andare a dormire la sera. Il fastidio ci resta ficcato nel cervello la notte. Per la gioia dei grandi gruppi tech. Ci rimpinzano come le oche da foie gras per ingrossarci il fegato e mangiarlo, e noi glielo lasciamo fare. È questo il vero trauma collettivo. Il trauma della nostra generazione. Aver visto succedere questo, essere stati gli unici che potevano fermarlo e non averlo fatto. Non il precariato, cazzo: questo. Questa roba qui.

Ma anche le realtà più protette, seppur fittiziamente, possono stancare o rimorderti la coscienza per ciò che non stai avendo il coraggio di vivere altrove, e così Cloro, uno scricciolo di donna acerba nel corpo, ma molto meno nel sapersi procurare ciò che vuole, salta letteralmente nell’auto di Leo, che lascia temporaneamente (o per sempre?) questo via vai di anime nostalgiche di anni che non possono tornare, per risalire nel suo Piemonte, che è dove vorrebbe tornare anche lei, per cercare di mettere a posto una volta per tutte i conti con un passato che la lega ad una madre problematica, che ha fomentato la voglia di crearle un mondo digitale addosso, in una camera fatta di hashtag, facendola diventare una influencer, ruolo che tanto le ha dato ma che ha finito per triturarla. La possibilità del guadagno facile a discapito del rischio di scoprire che ciò che può farti felice esercitare, ti piegherà più facilmente ad una vita di sacrifici e rinunce che a dei riconoscimenti basati a volte sul nulla, di cui ti convincono i “seguaci” che coltivi on line.

 

C’è un altro privilegio, che non c’entra con i soldi, ma che è ancora più stronzo: il privilegio di scoprire presto nella vita una passione per qualcosa. Una specie di fissa, che ti guidi. Questa retorica del lavoro dei sogni ci ha convinti che nasciamo tutti con talenti o con passioni eccezionali, ma non è così. Ci sono anche stronzi come me che devono procedere per tentativi e mica è detto che ci arrivino. Ecco, uno che ha entrambi questi privilegi forse troverà un lavoro che gli piace. E chi ha il privilegio di una passione probabilmente può giocarsela con chi ha solo quello economico, in qualche modo. Ma per quelli come me, o hai le spalle coperte a vita, per continuare a provare, o è meglio che ti rassegni. In fondo qualcuno le deve pur far funzionare, ste fabbriche. Quando ti portano via il tempo, i soldi, la speranza di un miglioramento, la dignità – per una roba che non puoi nemmeno toccare, capito? –, tutto quello che puoi fare è accartocciarti sul tuo nucleo, per cercare di difenderlo. E così diventi un guscio. Solo quello.

L’attrazione fisica tutt’altro che immediata, le distanze anagrafiche, ma soprattutto di pensiero tra i due, faranno pentire più volte Leo di aver accettato di condividere migliaia di km in pochi giorni, con un’estranea, ma sono proprio i pochi giorni e uno spazio unico come quello di un auto, che lo portano, come pochi altri casi, a voler sconfiggere certi pregiudizi verso chi non comprende e aprire squarci di verità su se stesso che solo confrontandosi, puoi far venir fuori. E percependosi l’un l’atro in maniera nuova, creeranno un legame di cui non voler più fare a meno, dentro e fuori da un finestrino. Ma chi è lui per sentirsi sicuro di ciò che prova “solo” perchè è stato bene? Quando ci si reputa all’altezza di vivere ciò che si prova?

Le persone sono sistemi che si proteggono dai boicottaggi, si disse, e tutta quella situazione era frutto soltanto di circostanze mai state così improbabili. Ma vide nello specchietto retrovisore uno sconosciuto con la mascherina, e questo gli fece pensare che forse la vita, per sua natura, non è nient’altro che questo: una strana circostanza dietro l’altra. Leo si era sempre sentito in difetto rispetto a chiunque. Credeva ci fosse una specie di condizione ideale dalla quale partire per essere certo di stare vivendo, un terreno almeno relativamente solido da cui iniziare a muoversi per esplorare il resto e a cui tornare, se le cose si fossero fatte complicate. Ma più aspettava che il terreno s’indurisse e più invecchiava, e la partenza si allontanava, anziché avvicinarsi. In quel momento, fu colto per la prima volta dal terribile sospetto che quella condizione in realtà non esistesse, che la sua vita – quell’affastellarsi casuale di circostanze – fosse già cominciata da un pezzo.

Lo stile di scrittura della Caruso é trascinante, appassionato, disilluso. 400 pagine in cui non puoi non odiare e successivamente, affezionarti ai suoi personaggi perché sono un po’ te. Il libro mi lascia con una domanda, a cui do anche una risposta e in un certo senso, il mio finale. Leo e Cloro sono arrivati a destinazione, ma il loro viaggio sentimentale proseguirà? Mi piace immaginarli così, una nuova tinta rosa in testa per lei e lui a fumare l’ennesima sigaretta, che poi finirà sempre lei.

NOTE SULL’AUTRICE ELEONORA C.CARUSO 

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Eleonora C. Caruso è nata nel 1986 in provincia di Novara. Nel 2012 è uscito il suo primo romanzo Comunque vada non importa (Indiana Editore). Nel 2018 ha pubblicato con Mondadori Le ferite originali, ristampato nel 2022 dopo un passaparola entusiastico dei lettori su TikTok; nel 2019, sempre per Mondadori, è uscito Tutto chiuso tranne il cielo. Collabora con varie riviste e case editrici di fumetti. Vive a Milano con il marito e la sua collezione di manga.

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6 Commenti
  1. Eleonora Caruso

    Grazie mille per la bella recensione!

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    • Manu Luna

      Ciao Eleonora, sono contenta ti sia piaciuta, hai scritto un libro veramente profondo, divertente e attualissimo!

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  2. Tommaso Cutrì

    Come sempre delinei i tratti principali del libro, facendo venire sempre voglia di leggerlo.

    Bravissima

    Rispondi
    • Manu Luna

      Ciao Tommaso, grazie per il tuo fedele entusiasmo e la curiosità che ci metti sempre!

      Rispondi
  3. Valentini Antonella

    Bella recensione. Grazie come sempre.

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