IL NOSTRO GRANDE NIENTE  di Emanuele Aldrovandi

 Avreste meno paura di morire se poi il tempo smettesse di scorrere per le altre persone? Sareste capaci di vivere sapendo che, prima o poi, tutto ciò che siete e che avete fatto verrà dimenticato? Se vi è mai capitato di soffermarvi su questi dilemmi, leggete “Il nostro grande niente”, romanzo d’esordio di Emanuele Aldrovandi.

 

SCHEDA LIBRO

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IL NOSTRO GRANDE NIENTE

  • Autore: Emanuele Aldrovandi
  • Editore: Einaudi
  • Data di uscita: 23 gennaio 2024
  • Pagine: 200 p.
  • Prezzo: 17 €
  • Genere: Narrativa
  • EAN: 9788806262099

Tra pochi giorni lui avrebbe sposato la ragazza con gli occhi grandi, se non fosse morto in un incidente stradale. E adesso la vede tornare in quella che era la loro casa, trovare il suo computer sul tavolo e le ciabatte che lei gli aveva regalato in corridoio, dove lui le ha lasciate. La tazza invece è sul bordo del lavandino: lei ci infila il naso dentro e scoppia a piangere. Non vuole mangiare, anche se la madre insiste, ha perso la fame. Poi però, distrattamente, beve un sorso di caffè, morde un biscotto, e si stupisce di trovarlo buonissimo, come prima che lui morisse, come sempre. Forse è in quel momento che inizia il suo faticoso ritorno alla vita, ed è la voce di lui a raccontarlo. Giorno dopo giorno, vede scorrere l’esistenza di lei – che cambia città, si sposa, ha figli – catturando le istantanee di un tempo che non gli appartiene; le alterna ai ricordi di un amore che credeva unico. Ma se avesse l’occasione di vivere ancora, come reagirebbe alla certezza che del suo grande amore, nel giro di un attimo, potrebbe non restare niente? Con leggerezza e disincanto, Emanuele Aldrovandi si interroga sulla natura delle relazioni, mettendo in scena il desiderio indicibile che il mondo finisca con noi.

RECENSIONE

Al pari dei molteplici momenti per venire al mondo, ne esistono altrettanti che riguardano quelli in cui lo lasciamo. E’ frutto del caso o a volte di una scelta di chi ci ha generato, farci nascere contestualizzando persino il luogo e il periodo, mentre ciò a cui non ci si rassegnerà mai è l’idea che insieme al nostro arrivo, si dia inizio anche al mistero sulla durata del nostro passaggio su questa terra.

Possono sembrare pensieri un po’ lontani da quelli che facciamo ogni giorno, coinvolti dalle nostre vite frenetiche e sempre molto organizzate, ma è più comune di quanto non si pensi, interrogarsi su cosa ci sia oltre questa vita, della nostra ma anche di quella delle persone che amiamo. Ci sarà data davvero la possibilità di seguire il cammino di chi lasciamo o ci lascia per sempre? Di avere un paio di occhi speciali, senza più corpo ma eterni da qualche parte, che si “godono” il proseguo di questo immenso, ma non infinito esistere dell’essere umano, nonostante tutto?

Sarebbe bello se una volta morti si potesse uscire da sé stessi per sedersi qualche minuto nel cinema deserto in cui è stata proiettata la propria vita. Almeno per guardare i titoli di coda e farsi le classiche domande che ci si fa alla fine dei film. Mi è piaciuto? Di cosa parlava? Quali erano i personaggi piú importanti? Ha avuto un qualche senso? Chissà come sarebbe, se una volta morti si potesse continuare a esistere, da qualche parte, in compagnia della propria memoria. Magari in un microchip piccolissimo, senza corpo e senza la possibilità di fare nulla, se non ricordare ciò che è stato. Sarebbe bello o sarebbe una tortura? E se anche fosse una tortura: è meglio esistere all’interno di una tortura o non esistere proprio?

Su questa visione da “morto” che tutto continua a vedere e sentire, si basa la storia di “Il nostro grande niente”, opera prima dello scrittore e regista Emanuele Aldrovandi, in cui l’autore sceglie di indagare come può cambiarti un episodio traumatico e cosa lascia in chi resta, raccontato da chi non c’è più e già questo rende la storia non un semplice racconto sulla perdita e le sue conseguenze, ma una collezione preziosa di riflessioni fatte da chi, ormai lontano, “ascolta” pensieri e “spia” sensazioni di chi si sforza di andare avanti, ed è molto interessante l’intreccio che si crea tra il mondo reale e l’ “aldilà” nel quale (forse) finiremo.

Nella prima parte del libro il lettore empatizza con la malinconia dell’amore perduto e non vorrebbe mai lasciarla. La seconda ti sbatte in faccia le domande che tutti ci facciamo e mettiamo da parte: ma se non ci fossi io il mio amore si metterebbe con un’altra persona? E quindi, anche l’amore più grande è sostituibile. Ma come fai a fare i conti con questa verità assoluta? Ne esci ammutolito e rinvigorito. Azzeccato il titolo, sarà pure niente questa roba che li unisce, ma va oltre l’universo. Insegna, col senno di poi, quanto valga l’attimo, godere di ogni bella giornata, sentirsi vivi nel momento in cui lo si è, lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, e soprattutto ci ricorda che amare, è la chiave per poter dire di aver vissuto appieno tutto il tempo che ci è concesso. Secondo il protagonista, che dopo una morte improvvisa vede la vita della sua futura moglie andare avanti, è facilissimo. Dopo un iniziale, per quanto lungo, momento di dolore, lei riprende a vivere. Lui la accompagna per tutta la vita, tra nuovi amori, soddisfazioni lavorative, figli, amici, viaggi e gli immancabili dolori.

Durante la lettura, sembra di sentire cosa si prova prima di morire, la sensazione che il mondo intero ti stia festeggiando, tutti i bei ricordi dimenticati, messi in fila indiana per dimostrarti che il viaggio ne valeva la pena. E’ una cosa forte, fai un bagno d’amore talmente caldo che ti addormenti dalla gioia, hai la sensazione che tutti gli indifferenti incrociati ti vogliano bene, ti sorridano e che siano li sopra di te a incoraggiarti, stupiti di vedere te che te ne vai via quando sono stati loro a sbatterti la porta in faccia.

Tutto va velocissimo, è come se dicessimo addio a tutto quello che non è stato portato a termine, a una vita che non abbiamo conosciuto, a delle possibilità che sono andate perse. Pensare di morire non è come morire, è meno divertente, si pensa a tutto quello che c era, era lì e non lo si è visto, cosine che non servono a niente ed è proprio per quello che ci si pensa, perché poi le cose che non servono a niente contano di più in quei momenti, quando si intuisce che si sta per passare un brutto quarto d’ora.

Noi esseri umani abbiamo sempre combattuto contro quello che la natura aveva previsto per noi. Pensaci. Verrete mangiati dagli animali piú grandi di voi – e noi abbiamo inventato le armi. Verrete schiacciati dagli agenti atmosferici – e noi abbiamo costruito le case. Verrete uccisi dalle malattie – e noi abbiamo inventato la medicina. Le nostre tappe evolutive si sono fondate su questo, sul rifiuto del nostro destino naturale, cioè la morte. E anche adesso gli uomini piú ricchi della Terra non si accontentano di vivere fino a novant’anni, ma investono miliardi per studiare.

Un ritratto lucido sulla ricostruzione degli elementi che dovrebbero porci in maniera più “pacificata” nei confronti del distacco, insistendo sul concetto che quello che dovrebbe farci più male non è lasciare la vita, ma dover abbandonare ciò che le dà un senso e che la morte non si compera, si merita. La morte dà un senso alla vita.

NOTE SULL’AUTORE EMANUELE ALDROVANDI

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Emanuele Aldrovandi (Reggio Emilia, 1985) è autore e regista per teatro e cinema. Questo è il suo primo romanzo.

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4 Commenti
  1. Emanuele Aldrovandi

    Grazie dello sguardo, Emanuele

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    • Manu Luna

      Complimenti ancora a te per aver scritto un libro così ricco di spunti di riflessione. In bocca al lupo per il tuo lavoro Emanuele!

      Rispondi
  2. Tommaso Cutrì

    Interessa libro, soprattutto ci fai scoprire bravissimi scrittori.

    Complimenti

    Rispondi
    • Manu Luna

      Grazie Tommaso, il nostro sito serve (anche) a questo! Buona lettura!

      Rispondi
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