Truffe, bugie, distopie horror, case di bambole e cucina orientale nelle nostre 5 serie tv (+1) tratte da libri viste in streaming a Gennaio 2023

Bentornati nel nostro angolo televisivo. Gennaio segna non solo l’inizio dell’anno nuovo, ma è anche l’occasione per un necessario bilancio dell’anno precedente. Così, nel caso in cui vi siate smarriti qualche titolo significativo, dopo gli Emmy di Settembre, a segnalare e premiare il meglio passato in TV (e al cinema) nel 2022 ci ha pensato l’80ª edizione dei Golden Globes che, nella notte del 10 gennaio, ha visto trionfare The House of the Dragon come migliore serie drammatica e, sempre per HBO, che fa bottino pieno, anche la meravigliosa seconda stagione antologica di The White Lotus (girata in Sicilia a Taormina, con parte del cast italiano tra cui Sabrina Impacciatore), premiata come migliore miniserie e per la miglior interprete non protagonista femminile nella stessa categoria all’attrice di riferimento Jennifer Coolidge.

Tra gli altri attori premiati anche Jeremy Allen White di Shameless per il ruolo dello chef Carmy Berzatto in The Bear, come miglior attore nella categoria commedia. E nella stessa categoria, l’attrice (e creatrice dello show) Quinta Brunson per Abbott Elementary (ABC), serie da noi passata inosservata, ma che porta a casa anche la statuetta per l’attore non protagonista Tyler James Williams e soprattutto il titolo di miglior serie comedy.

Nella categoria serie drammatica, i migliori interpreti sono Kevin Costner per Yellowstone (Paramount) e Zendaya per Euphoria (HBO), mentre tra i protagonisti delle miniserie Amanda Seyfried vince per The Dropout (Hulu-Disney+) ed Evan Peters per Dahmer (Netflix), nel controverso ruolo di Jeffrey Dahmer. Infine, Paul Walter Hauser, anche lui interprete di un serial killer, ottiene il Golden Globe come non protagonista per la miniserie Black Bird di AppleTv+ e Julia Garner il titolo di attrice non protagonista per Ozark di Netflix.

Non mancano poi le delusioni, almeno per quanto mi riguarda, visto che a rimanere fuori dai giochi, abbiamo l’acclamata Scissione (Severance) di casa AppleTv+ e tra quelle da noi recensite, We Own This City (HBO) e This Is Going to Hurt (BBC).

Nella nostra rubrica Libri in TV ci occupiamo però solo di quelle serie tv tratte da libri, con il mese di Gennaio che segna l’arrivo di molte serie tv attese da tempo. Ciascuna piattaforma streaming ha i suoi cavalli di battaglia e cerca di offrire allo spettatore da casa i migliori prodotti possibili. Oltre agli arrivi di nuove stagioni di serie tv già consolidate, sono arrivate questo mese nuove serie già diventate dei successi o, come vedremo, dei clamorosi flop…

A tal fine, ecco una selezione di 5 nuovi titoli tra quelli già pubblicati sui servizi di streaming nel mese di Gennaio 2023, con la consueta aggiunta di una bonus track rappresentata da una serie-tv da recuperare (o da rivedere), tra le migliori andate in onda negli anni precedenti.

Buona lettura e buona visione!

MIGLIORI SERIE TV TRATTE DA LIBRI E ALTRE OPERE VISTE IN TV/STREAMING

Attenzione! Le trame delle serie che seguono potrebbero contenere alcuni spoiler, anche se niente di particolarmente invasivo.

NOVITÀ GENNAIO 2023

MADOFF: IL MOSTRO DI WALL STREET

DOCUSERIE (2022) – 4 EPISODI

Trasmissione originale: Netflix dal 04 gennaio 2023
Trasmissione italiana: Netflix dal 04 gennaio 2023
Ispirazione letteraria: basato su Madoff Talks di Jim Campbell (2021)

con Joseph Scotto, Donna Pastorello, Sarah Kuklis

SINOSSI LIBRO: Nessun nome è più sinonimo dei mali di Wall Street di Bernie Madoff. Arrestato per frode nel 2008 – durante la crisi finanziaria globale – il 70enne intermediario finanziario, consulente per gli investimenti ed ex presidente del NASDAQ aveva orchestrato il più grande schema Ponzi nella storia del mondo, spolpando migliaia di investitori in tutto il mondo per un importo di 65 miliardi di dollari. Fino ad oggi, le domande rimangono: perché l’ha fatto? Come ha fatto a farla franca per così tanto tempo? Cosa sapeva la sua famiglia? Chi è l’inafferrabile Bernie Madoff?

In Madoff Talks, l’autore Jim Campbell presenta il resoconto più completo e privilegiato della saga di Madoff fino ad oggi. Sulla base di interviste esclusive con tutti i protagonisti – la famiglia Madoff e i loro soci, i faccendieri e operatori di Wall Street, l’esercito di avvocati, analisti e investigatori, le vittime dello schema e lo stesso Bernie Madoff – il libro è la storia completa di una tragedia americana.

LA SERIE TV: Il 2022 era stato l’anno delle truffe in TV. Per spiegarmi meglio: tantissime serie dedicate a truffatori seriali (Anna Delvey di Inventing Anna, Elizabeth Olmes di The Dropout, Adam Neuman di WeCrashed, Simon Leviev de Il truffatore di Tinder o per rimanere in casa nostra la Wanna Marchi di Wanna). Tutta gente abbastanza creativa…  ma diamocelo, anche dei discreti pivelli se paragonati al vero Re delle truffe con cui si apre questo 2023, quel Bernie Madoff morto in prigione il 14 aprile 2021 all’età di 82 anni, autore della più grande frode finanziaria della storia, visto che tra i primi anni ’90 ed il 2008, riuscì a convincere piccoli risparmiatori, ma soprattutto banche ed istituti finanziari internazionali (compresa la “nostra” Unicredit), nonchè personaggi famosi (tra i VIP truffati anche Steven Spielberg, Kevin Bacon e John Malkovich) – in tutto 37.000 persone in 136 paesi – ad affidargli ben 64,8 milardi (64.800 MILIONI!) di dollari per investimenti mai effettuati, visto che a pagare gli interessi dei nuovi investitori erano i clienti precedenti (e viceversa), secondo il più classico schema Ponzi.

Non tragga in inganno il formato della serie documentario, anche perchè al timone ritroviamo lo Steven Spielberg del genere, quel Joe Berlinger già autore della docuserie su Jeffrey Epstein e dei fortunati cicli true crime Conversazioni con un killer (con il trittico dedicato a Ted Bundy – John Wayne Gacy – Jeffrey Dahmer) e Sulla Scena del Delitto (Crime Scene), realizzati sempre per Netflix. Questa volta non abbiamo un vero crimine, ma anche qui, la sua regia navigata, mescola abilmente fiction (scene ricreate con attori – a impersonare Madoff c’è Joseph Scotto) e testimonianze dei veri protagonisti (compreso lo stesso Madoff), svelando in modo avvincente la genesi e, per la prima volta, le dinamiche del fraudolento business di consulenza finanziaria di Madoff.

La domanda però rimane sempre la stessa: com’è stato possibile? Dopo l’omonima miniserie del 2016 con Richard Dreyfruss e dopo il film-tv del 2017 in cui a interpretare il Mago delle bugie (The Wizard of Lies), c’era uno straordinario e cupo Robert De Niro, questa nuova e forse definitiva trasposizione televisiva prova a raccontarlo, aggiungendo nuovi e sconvolgenti dettagli e rivelando come la truffa non fosse la creazione di una sola mente diabolica come molti credevano.

Veniamo così a scoprire come, malgrado le tantissime denunce iniziate già alla fine dei ’90 da parte di Harry Markopolos – un giovane matematico a cui bastarono pochi minuti di calcoli per appurare come i rendimenti a doppia cifra di Madoff fossero impossibili da ottenere legalmente – a fermare Madoff e la sua cricca del 17simo piano, non furono gli inerti ispettori della SEC (Securities and Exchange Commission), ma l’altra truffa legata ai mutui subprime del 2008 (poi abilmente descritta da Micheal Moore in Capitalism: A Love Story), per cui molti dei clienti presi dal panico vollero disinvestire le loro somme e solo allora i nodi vennero al pettine, costringendo colui che la serie definisce il Mostro, a confessare ai figli (che lo denunceranno, innescandone l’arresto e la successiva esemplare condanna a 150 anni di galera) che la fortuna della loro prestigiosa Madoff Investment Securities era falsa.

Oltre all’apparentemente ignara famiglia di Madoff (il figlio Mark morirà suicida, un altro di linfoma, mentre la moglie Ruth verrà spogliata di tutti i suoi averi e sfrattata dal suo attico di Manhattan), a farne le spese, non quel sistema connivente fatto di grandi colossi finanziari, come la JP Morgan (la banca di cui si serviva Madoff per le sue operazioni), che dopo aver restituito quanto illecitamente guadagnato, ne uscirono sostanzialmente illesi (quantomeno a livello penale), ma come sempre, piccoli risparmiatori e pensionati costretti a vendersi le mutande. Ah l’avidità! Il loro peccato preferito… (semicit.). Alla fine, potete ritenervi fortunati se non avete quattrini da investire…

LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI

MINISERIE-TV (2023) – 6 EPISODI

Trasmissione originale: Netflix dal 04 gennaio 2023
Trasmissione italiana: Netflix dal 04 gennaio 2023
Ispirazione letteraria: basato su La Vita Bugiarda degli Adulti di Elena Ferrante (2019)

con Valeria Golino, Giordana Marengo, Alessandro Preziosi, Pina Turco

SINOSSI LIBRO: Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.

LA SERIE TV: La serie italiana più attesa del 2023, con trailer già rilasciato da qualche mese da Netflix, su cui è approdata il 4 gennaio in contemporanea negli oltre 190 paesi in cui la piattaforma è attiva. D’altronde sul piatto c’è Elena Ferrante, pseudonimo di una delle autrici nostrane più amate anche fuori dall’Italia, come testimoniano le trasposizioni de L’Amica geniale (stagione 4 prevista per il 2024) prodotta da Rai-HBO e quella cinematografica de La Figlia Oscura, scritta e diretta da Maggie Gyllenhaal, premio per la migliore sceneggiatura al Festival del cinema di Venezia 2021 e 3 nomination agli Oscar 2022.

Ora tocca a La Vita Bugiarda degli Adulti, ambientata a Napoli negli anni ’90. Una città, tanti mondi. Anche se qui ne conosciamo solo 2: quello del quartiere borghese del Vomero dove abita l’adolescente Giovanna con la sua famiglia e quello “meno bene” e più popolare del Pascone dov’è nata e dove è rimasta a vivere sua zia Vittoria.

Ma quando sei piccola ogni cosa ti sembra grande, quando sei grande ogni cosa ti sembra niente, così quando Giovanna origlia una conversazione del padre secondo cui la ragazza si sta facendo la faccia di Vittoria (che non vuole essere nè viene interpretato come un complimento), è forse il momento di andare a vedere che faccia davvero abbia quella zia cancellata da ogni foto di famiglia.

Parlando dalle differenze tra romanzo e adattamento televisivo, va detto che qui la storia viene spostata in avanti nel tempo di un paio d’anni, per avere una Giovanna più adulta per quelle che saranno alcune scene un po’ spinte. Ma le differenze rispetto al testo letterario (e all’altro titolo televisivo con cui va inevitabilmente confrontato), purtroppo non si fermano qui, visto che a mancare è proprio l’atmosfera del romanzo (anche se la Napoli degli anni ’90 non può certo offrire gli stessi spunti narrativi della Napoli del dopoguerra), e per quanto sembri paradossale, una certa qualità di scrittura.

Sì, perchè malgrado le grandi aspettative riposte da Netflix e malgrado il coinvolgimento della stessa Ferrante nel pool di sceneggiatori della serie, si inizia ad avvertire la stanchezza di uno schema ricorrente: storie di (giovani) donne, affascinate, sedotte e poi ingannate/tradite/abbandonate da altre donne: oltre a Lila e Lenù de L’Amica Geniale, Leda e Nina (La figlia oscura) Delia e la madre Amalia (L’amore molesto).

E anche il racconto di formazione al femminile proposto ne La vita bugiarda degli adulti in questo senso non fa eccezione. Se il rapporto con la zia Vittoria (un’ottima Valeria Golino, forse più a suo agio con dialetto e turpiloquio napoletano, e quindi per una volta meno urticante di quanto recita/si autodoppia in italiano/inglese…) non acquisisce la centralità che avrebbe meritato,  le cose vanno peggio sugli altri fronti, con le trite dinamiche tra la madre Nella e la figlia adolescente, e quelle per lo più inesplorate con le due sorelle, rimaste soffocate in mezzo alle meno interessanti vicende dei rispettivi genitori e alle infinite (ed in qualche caso discutibili…) sequenze musicali che punteggiano lo show.

I personaggi maschili naturalmente non ne escono meglio, anche per lo sguardo spietato con cui la Ferrante, da sempre, li descrive. Vedi lo stereotipato padre di Giovanna (Alessandro Preziosi) o la misteriosa figura di Roberto che si rivela, a conti fatti, una copia sbiadita e meno complessa di Nino Sarratore.

Aggiungiamoci Napoli o la limitrofa località turistica (in questo caso Posillipo), ‘o rione, gli scontri di classe e l’immancanabile voce narrante (qui si passa da Alba Rohrwacher ad Emma Marrone), e capiamo perchè l’ambiziosa e a tratti presuntuosa operazione Fandango-Netflix rischi sempre più di sembrare tutto quello che probabilmente non voleva essere: una replica assai meno riuscita del già citato My Brilliant Friend.

Una storia che avrebbe peraltro potuto anche essere riassunta in un film da 90 minuti, ma che nelle 6 ore della serie si avviluppa su sè stessa, mancando di equilibrio nella sceneggiatura (che di certo non aiuta una recitazione spesso teatrale) e perdendosi dietro inutili virtuosismi di un regista, Edoardo De Angelis, sicuramente più abituato al formato cinematografico. Certo, come già detto, sul piatto c’è sempre Elena Ferrante. E questo dovrebbe bastare per intercettare soprattutto quel pubblico teen a cui si rivolge. Manca però il contorno…

IL MINIATURISTA

MINISERIE-TV (2017) – 3 EPISODI

Trasmissione originale: BBC One dal 26 al 27 dicembre 2017
Trasmissione italiana: Sky Serie dall’11 gennaio 2023

Ispirazione letteraria: basata su Il Miniaturista di Jessie Burton (2014)

con Anya Taylor-Joy, Romola Garai, Alex Hassell, Emily Barrington

SINOSSI LIBRO: In un giorno d’autunno del 1686, la diciottenne Petronella Oortman – Nella-fra-le-nuvole è il soprannome datole da sua mamma – bussa alla porta di una casa nel quartiere più benestante di Amsterdam. È arrivata dalla campagna con il suo pappagallo Peebo per iniziare una nuova vita come moglie dell’illustre mercante Johannes Brandt. Ma l’accoglienza è tutt’altra da quella che Nella si attende: invece del consorte, trova la sua indisponente sorella, Marin Brandt, e anche quando Johannes torna da uno dei suoi viaggi, evita accuratamente di dormire con Nella, e anche solo di sfiorarla. L’unica attenzione che le riserva è uno strano dono, la miniatura della loro casa e l’invito ad arredarla. Sembra una beffa. Eppure Nella non si perde d’animo e si rivolge all’unico miniaturista che trova ad Amsterdam, una enigmatica figura che sembra sfuggirle continuamente, anche se tra loro inizia un dialogo sempre più fitto, senza parole, ma attraverso piccoli, straordinari manufatti che raccontano i misteri di casa Brandt.

LA SERIE TV: Anche in tempo di streaming e globalizzazione televisiva, esistono ancora prodotti di un certo pregio e/o interesse e/o valore d’intrattenimento che, per motivi meramente distributivi, ci mettono un po’ ad arrivare in Italia. È il caso de Il Miniaturista (The Miniaturist), coproduzione anglo-americana del 2017 trasmessa sulla BBC inglese in 2 puntate da 90 minuti (diluite qui da noi in 3 da un’ora) e che solo adesso Sky Italia si è ricordata di riesumare dal proprio magazzino… Della serie meglio tardi che mai

E dire che i motivi per un rilascio in tempi più consoni non sarebbero mancati, visto che già alla fine del 2020 era un continuo passaparola sulla bravura di Anya Taylor-Joy, attrice nata a Miami e cresciuta in Argentina prima di trasferirsi a Londra da bambina, oggi diventata una delle più amate sul piccolo (La regina degli scacchi, vedi più sotto) e grande (Ultima notte a Soho e The Menu) schermo, ma che all’epoca stava ancora sgomitando per emergere definitivamente dopo il clamoroso esordio con l’horror The Witch (2015).

Beh, insieme a tutto questo c’era stato anche Il miniaturista, period-drama tratto dall’omonimo romanzo di Jessie Burton (di cui esiste anche un meno fortunato sequel letterario del 2022, The House of Fortune) ambientato ad Amsterdam nel 1686, dove la nostra interpreta Nella – diminutivo di Petronella, omaggio a Petronella Oortman (che ha ispirato il romanzo della Burton e i cui modelli sono esposti al Rijksmuseum di Amsterdam) – di cui il personaggio mantiene però solo i dati anagrafici, visto che nella serie, la Taylor-Joy non è la miniaturista del titolo, bensì una graziosa 18enne cresciuta a pane e marzapane in campagna, costretta a trasferirsi nella cupa e spettrale casa al centro di Amsterdam situata nell’esclusivo Herengracht (il Canale dei Signori), dove risiede il marito combinato Johannes Brandt, ricco e affascinante mercante di coni di zucchero, di vent’anni più vecchio di lei, che la ragazza ha dovuto sposare per estinguere alcuni debiti contratti dal padre.

La nuova famiglia acquisita – composta dalla severa cognata Marlin (Romola Girai), dal servitore Otto (Paapa Essiedu, Gangs of London e I may destroy you), un ex schiavo di colore, comprato, liberato e assunto da Brandt, e dalla cameriera Cornelia (Harley Squires, qui in un ruolo molto simile a quello della domestica-bambinaia Martha ne Il Serpente dell’Essex) – accoglie Nella (ed il suo parrocchetto Peebo, che in realtà è un pappagallo) con scarso entusiasmo. Di più: il novello sposo, per tenerla buona e continuare a non consumare il loro rapporto (chissà perché…), le regala come passatempo una dettagliatissima e costosa casa delle bambole che riproduce alla perfezione le stanze di casa Brandt. Nella esegue, più per disperazione e mancanza di alternative che altro, e passa il suo tempo a curare la replica in miniatura.

Mancano però gli oggetti con cui arredarla, che Nella inizia a commissionare al misterioso miniaturista del titolo, pescato sulle pagine gialle olandesi del periodo, senza però riuscire ad incontrarlo, finchè cominciano ad arrivarle per posta altri oggetti e bambole raffiguranti gli abitanti della casa (corredati da enigmatici bigliettini) che non sono stati ordinati dalla giovane donna, e che oltre ad aiutarla ad unire alcuni puntini, anticipano eventi che succederanno da lì a poco. Uhm Uhm…

Ma al di là dell’enigma legato all’identità e alle motivazioni del miniaturista, che per lo spettatore sarà interessante poter risolvere, e senza nulla togliere alla bravura degli interpreti – oltre ad una splendida Anya Taylor-Joy, va segnalata la sempre ottima Romola Girai (Emma e The Hour) nel ruolo della cognata Marin – a sbalordire è soprattutto lo stile adottato dal regista spagnolo Guillem Morales (Con gli occhi dell’assassino) che sceglie di rifarsi in buona parte alla produzione artistica del periodo raccontato nella serie, quando cioè la pittura fiamminga consegnava all’umanità ritratti di scene familiari di inestimabile splendore.

Diverse scene della serie, allestite come se fossero dei tableau viventi, assomigliano ai dipinti vermeeriani. Possiamo osservarli attraverso i corridoi nelle stanze, piastrellate con pietra bianca e nera. Abbiamo pareti rivestite in pelle e pannelli in legno, piastrelle blu di Delft e finestre in stile Vermeer ovunque. Colori caldi che vediamo anche nei costumi, con colletti bianchi e abiti di seta color senape. Anche il parrocchetto ritorna in molti dipinti di genere del periodo.

La bellissima fotografia, caratterizzata da un’illuminazione soffusa, è esattamente come quei quadri: la rappresentazione di una storia di valore morale contraddistinta da un uso unico di luce e oscurità dall’ovvio significato anche allegorico, come nella scena in cui Marin vorrebbe che le tende della stanza di Nella fossero chiuse, quasi a voler proteggere i segreti della casa, a differenza della ragazza, più aperta alla luce (e alla verità).

E proprio lei si rivelerà alla fine il personaggio più predisposto al cambiamento: dapprima “venduta” (parole sue) al nuovo marito per salvare se stessa e la sua famiglia dai debiti e dalla rovina, una volta venuta a patti con La vita bugiarda degli olandesi, sarà sempre lei a salvare anche casa Brandt. Il miniaturista è il suo racconto di formazione, quello di una giovane donna alla mercé degli eventi che, proprio come la frase in uno dei bigliettini che riceve, a ricordarle che “Ogni donna è l’artefice della propria fortuna”, impara a prosperare superando le avversità, prendendo il controllo sulla propria vita.

MAKANAI (The Makanai: Cooking for the Maiko House)

MINISERIE-TV (2023) – 9 EPISODI

Trasmissione originale: Netflix dal 12 gennaio 2023
Trasmissione italiana: Netflix dal 12 gennaio 2023

Ispirazione letteraria: basata sul manga Maiko-san Chi no Makanai-san (Kiyo in Kyoto: From the Maiko House) di Aiko Koyama (2016)

con: Nana Mori (Kiyo Nozuki); Natsuki Deguchi (Sumire Herai); Aju Makita (Ryoko); Keiko Matsuzaka (Chiyo)

SINOSSI MANGA: Kiyo e Sumire si sono trasferite a Kyoto dalla prefettura di Aomori sognando di diventare due maiko (apprendiste geishe). Ma dopo una serie di eventi inaspettati, Kiyo inizia a lavorare nella cucina della Maiko House e a vivere lì. La loro storia si svolge a Kagai, il quartiere delle maiko e delle geiko di Kyoto, insieme alle maiko con cui vivono. Kiyo le nutre ogni giorno coi pasti che cucina e Sumire si impegna per raggiungere il suo sogno di diventare la maiko del secolo.

Manga vincitore del 65° Shogakukan Manga Award (2016) nella categoria “miglior manga shounen”.

LA SERIE TV: Che siate o meno appassionati di cultura giapponese, segnatevi questa miniserie curata da Hirokazu Kore’eda, apprezzato regista giapponese Palma d’oro a Cannes 2018 con Un affare di famiglia che, dopo tanti film e documentari televisivi osannati e pluri-premiati, debutta nella fiction seriale con questa storia tratta da un manga (Kiyo in Kyoto: From the Maiko House) di Aiko Koyama  (già adattato per una serie anime, andata in onda sull’emittente nazionale giapponese NHK World nel 2021), che è esattamente come i piatti della sigla con cui si apre ogni episodio. Piatti gustosi preparati con cura che mettono a proprio agio chi li riceve, anche se appaiono spesso semplici, umili e non particolarmente fantasiosi. Cioè, un po’ tutto il contrario dei piatti instagrammabili che siamo abituati ad ammirare in tv in quest’epoca di Masterchef e di guerra ai mappazzoni. Perchè a volte, è questo tutto ciò di cui la nostra stanca anima non sa di avere bisogno: cose belle e vere. Non realistiche. Ma genuine ed accoglienti. Vere.

Makanai è così: una storia semplice e lineare, ma non per questo priva di interesse, visto che da principio abbiamo la storia delle sedicenni migliori amiche Kiyo e Sumire, che fuggono finalmente dal paesello di Aomori e si dirigono a sud (contrariamente al resto del mondo, in Giappone, è il Sud la parte più cosmopolita) nella grande città (Kyoto) per realizzare il loro sogno (o almeno, quello di Sumire): essere accettate in un istituto okiya (termine che indica le “case delle geishe”) chiamato Saku, per diventare maiko, ovvero apprendiste geishe.

Sumire è, fin da subito, perfetta: ha il giusto atteggiamento compito, altero e sussiegoso, la corretta postura e grazia nei movimenti, una splendida voce e la tranquilla determinazione necessarie per diventare, come dice lei, una geisha su un milione. La solare Kiyo, invece, è goffa e imbranata, non molto aggraziata, diciamo pure un po’ un maschiaccio, venendo presto presa di mira dalla Okasan, la Grande Madre (la proprietaria e direttrice di una okiya), che valuta se cacciarla.

Pur di mantenere la promessa fatta all’amica di rimanere sempre insieme, la ragazza, che ha da poco scoperto la sua vocazione per la cucina, si propone allora come makanai – un termine che indica sia il piatto che il cuoco tradizionale giapponese: non lo chef del ristorante, ma la sciura della mensa o in questo caso di una scuola okiya, che ti nutre con cura e affetto – e decide di prendersi la responsabilità di sfamare le studentesse dell’accademia e le due insegnanti.

Insieme al cibo abbiamo naturalmente anche il mondo delle geishe, un mondo antico, con una tradizione e dei riti secolari. Geiko e maiko risalgono infatti come professione al 1600. Anche se la popolazione delle geishe, circa 80.000 nel 1920, è ora in declino. Si stima infatti che ci siano meno di 1.000 geisha in Giappone oggi.

Già nel 1997, il mondo aveva avuto una finestra artefatta sulla loro vita attraverso Memorie di una Geisha, il romanzo inglese di Arthur Golden, diventato nel 2005 anche un film interpretato da controverse donne non giapponesi in ruoli giapponesi. E anche lo stesso materiale originale aveva suscitato non poche polemiche: la geiko in pensione Mineko Iwasaki, che Golden ha intervistato per scrivere il romanzo, intentò una causa contro di lui e il suo editore per aver presumibilmente infranto il codice del silenzio sulla sua comunità, oltre che per la rappresentazione altamente sessualizzata della geiko del romanzo, che contribuiva non poco ad alimentare l’idea, già parecchia diffusa, soprattutto in Occidente, di chi ancora oggi, assimila l’arte della geisha (letteralmente “persona che fa arte”) con la prostituzione d’alto bordo.

A Kore-eda, naturalmente consapevole delle polemiche passate, quindi il compito di umanizzare, se non proprio spiegare, la vera anima di una cultura spesso fuorviata da dicerie e luoghi comuni, principalmente attraverso Sumire e le sue altre coinquiline, di cui viene illustrato lo sforzo e il lavoro necessari per essere una maiko – con tutte le regole e le rinunce che questo comporta (le allieve non possono usare cellulare e portafortuna, nè potranno sposarsi) – senza però mai rinunciare a tutti quegli aspetti comuni a tante ragazze che si apprestano a diventare donne.

E poi il contorno… cioè tutto quello che serve per mettere lo spettatore di buon umore dopo una giornata un po’ storta: colori soffusi, musica di sottofondo super-relax e un tripudio di sorrisi e buoni sentimenti tra personaggi che sembrano usciti da un manga o da una favola, fate voi. In ogni caso creature di un altro mondo e di un’altra epoca, raccontate in maniera ordinaria e per questo innovativa. Di sicuro non il classico telefilm cui siamo abituati da cui ci aspettiamo il drammone risolutivo e tipicamente seriale che invece qui non arriva mai, ma piuttosto un ottimo intrattenimento televisivo (e culinario) in cui ogni puntata è proprio come i piatti che cucina Kiyo: un pezzettino di cuore che ti viene rammendato con grande cura. Tutto quello di cui non sapevamo di avere bisogno.

THE LAST OF US

PRIMA STAGIONE (2023) – 9 EPISODI

Trasmissione originale: HBO dal 15 gennaio 2023
Trasmissione italiana:
Sky (TV) e NowTV (streaming) dal 22 gennaio 2023

Ispirazione: basata sul videogame The Last of Us (2013) della Naughty Dog, pubblicato da Sony (PS3)

con Pedro Pascal, Bella Ramsey, Anna Torv, Gabriel Luna

SINOSSI: A venti anni di distanza da una pandemia che ha stravolto l’intera civiltà, gli umani infetti sono ormai fuori controllo e i sopravvissuti si uccidono a vicenda per recuperare cibo, armi o qualsiasi cosa di cui possano impossessarsi. Joel è uno spietato superstite che viene ingaggiato per portare la quattordicenne Ellie fuori da una zona di quarantena controllata da un regime militare tirannico, ma quello che all’inizio sembra un compito semplice si trasforma ben presto in un impegnativo viaggio attraverso gli Stati Uniti.

Naugthy Dog, sviluppatori della serie acclamata dalla critica Uncharted, sono tornati con The Last of Us, un gioco che inaugura un nuovo genere nel quale confluiscono elementi di sopravvivenza e di azione. La storia è ambientata negli Stati Uniti devastati da una pandemia e, attraverso il rapporto in continua evoluzione che si instaura tra Joel ed Ellie durante il viaggio, i giocatori condivideranno la tensione e l’azione in questo tormentato mondo. 

LA SERIE TV: Nella nostra rubrica dedicata ai Libri in TV ci siamo finora occupati di quelle serie che, per sintetizzare il discorso, abbiamo sempre definito come “tratte dai libri”, siano essi romanzi, biografie  o come abbiamo appena visto, altre opere letterarie come manga e fumetti, ormai sempre più in voga. A questi andrebbero però aggiunte anche tutte le altre opere multimediali, con particolare riferimento ai videogames, ormai da diverso tempo concepiti e realizzati – dalle musiche alle animazioni fino alla caratterizzazione anche estetica dei personaggi – come se fossero dei veri e propri film/serie tv e di cui quindi è arrivato il momento di occuparci.

Che siate o meno dei gamer, l’occasione è in questo caso fornita da un titolo di sicuro richiamo, forse IL titolo, se non altro il più grande adattamento televisivo di un videogame della storia, visto che parliamo di The Last of Us, l’ultima grande scommessa di HBO.

Partendo proprio dalla storia del videogame, sviluppato da Naughty Dog, e rilasciato la prima volta per PlayStation 3 nel 2013, si tratta di uno dei titoli videoludici più giocati al mondo, che ad oggi conta oltre 20 milioni di copie vendute. Nel corso degli anni sono stati diffusi espansioni, aggiornamenti e versioni rimasterizzate per altre console. Nel 2020, dopo lunghe attese e anticipazioni, è uscito il sequel, The Last of Us: Part II, altrettanto apprezzato.

Come il primo videogioco della saga, anche la prima stagione della serie, si svolge in un presente distopico – il 2023 nella serie, il 2013 nel videogioco uscito quell’anno – vent’anni dopo lo scoppio di una pandemia che, in una sola notte, ha sconvolto il pianeta. E no, non parliamo delle conseguenze di un “semplice” virus mortale, ma del ben più temibile Cordyceps, un fungo mutageno che – come spiega un filmato scientifico introdotto da alcuni virologi, all’inizio del pilot di 80 minuti – crea una infezione cerebrale e trasforma chi la contrae in una specie di zombie, creature mostruose e abnormi, senza alcuna coscienza umana e con istinti cannibali, che non fanno altro che cercare di infettare altri esseri umani, soprattutto arrampicandosi il più in alto possibile per diffondere le proprie spore con più ampio raggio.

Ed è in questo simpatico contesto che dovranno muoversi il protagonista Joel (Pedro Pascal, già visto in Game of Thrones, Narcos e The Mandalorian), un costruttore di Austin piuttosto traumatizzato da un passato effettivamente non troppo felice di cui apprendiamo nella prima mezz’ora-flashback ambientata nel settembre 2003, ed Ellie (Bella Ramsey, anche lei da Game of Thrones, era Lyanna di casa Mormont), una 14enne incazzata che si scopre essere immune al virus e per questo ritenuta la soluzione al cataclisma che ha portato alla fine della civiltà. Quando il fratello di Joel, Tommy (Gabriel Luna), scompare nel nulla, l’ex costruttore, che nel frattempo ha dovuto ricostruirsi come contrabbandiere, acconsente di accompagnare la ragazza alla sua destinazione finale oltre le mura, superando pericoli e intrighi, ottenendo in cambio le risorse necessarie (nient’altro che una batteria funzionante) per mettersi sulle tracce del fratello. Quello sarà ovviamente il primo passo di un percorso irto di ostacoli che, come nei vari livelli del gioco, legherà per sempre Ellie e Joel.

Come dite? Sentite puzza di The Walking Dead? Eh effettivamente… anche qui troviamo coinvolto il creatore dell’opera originale, che in quel caso era il disegnatore del fumetto Robert Kirkman, mentre qui, a garantire una certa fedeltà narrativa, abbiamo Neil Druckmann, sviluppatore (per conto dei tipi di Naughty Dog) del videogioco originale, a cui HBO affianca Craig Mazin, sceneggiatore acclamatissimo dopo il suo exploit con Chernobyl (la miniserie del 2019 candidata a ben 19 Emmy e vincitrice, anche ai Golden Globes 2020, nelle migliori categorie).

E sono proprio i 2 creatori a migliorare in modo impressionante la formula del racconto ambientato in una post-apocalisse zombie, intanto perchè rispetto a TWD abbiamo un cast meno “rotante”, che può contare su almeno 2 personaggi sicuri (inutile dire che se muore uno dei 2, finisce la storia), cosa che permette allo show e agli spettatori di approfondire meglio i drammi dei loro personaggi.

E poi perchè in TLoU la società esiste davvero. Naturalmente decimata e principalmente riorganizzata nella FEDRA (Federal Disaster Response Agency), un gruppo paramilitare, erede da una parte dell’esercito e dall’altra della protezione civile, che controlla come una specie di governo dittatoriale tutti i territori del paese soggetti a quarantena, impiegando la forza e il potere assoluto per mantenere l’ordine e soprattutto eliminando fisicamente chiunque manifesti sintomi di infezione. Ad opporsi ai loro metodi, ci sono poi i Fireflies, dei ribelli che cercano di conquistare i territori in mano alla Fedra e instaurare dei governi meno autoritari.  E rispetto al selvaggio west di Rick Grimes & Co, pur sempre un residuo di società civilizzata. Non poi è uno spoiler dire che The Last of Us inizia con la “speranza”, qui rappresentata da Ellie. Il suo rapporto con il mondo più grande e con Joel in particolare è ciò che lo rende un universo abbastanza diverso da The Walking Dead.

Il risultato è a dir poco sensazionale, anche a detta dei pareri super-entusiastici letti un po’ in giro da parte degli addetti ai lavori che hanno potuto vedere i primi episodi con diverse settimane di anticipo rispetto a noi comuni mortali. Che avviene di solito solo quando un’emittente, in questo caso HBO, vuole creare hype intorno ad un suo prodotto, perché abbastanza sicura che questo sbancherà i dati Auditel, cosa poi effettivamente avvenuta, con la premiere americana vista da 5 milioni di spettatori, che per l’emittente via cavo rappresentano il secondo miglior risultato dal 2010 (quando HBO ha iniziato a conteggiare anche i dati streaming) dopo il debutto, nello scorso autunno, di The House of the Dragon. 

Vedremo ora come reagirà il pubblico italiano, che potrà comunque seguire quasi in contemporanea con gli Stati Uniti (il giorno dopo con un nuovo episodio sottotitolato e una settimana dopo con doppiaggio italiano). Anche se una cosa possiamo già dirla, dopo la fine della saga di TWD (al netto dei relativi spinoff), gli appassionati del genere, e non solo loro, potrebbero davvero aver trovato il loro nuovo titolo di riferimento… 

ALTRE SERIE TV TRATTE DA LIBRI USCITE A GENNAIO 2023

  • Totenfrau: La signora dei morti (dal 5 gennaio su Netflix)
    Serie gialla austriaca, adattamento dell’omonimo romanzo di Bernhard Aichner, incentrata sulle indagini di una impresaria di pompe funebri sposata con due figli su cui si abbatte una terribile tragedia.
  • Il Commissario Gamache – Mistreri a Three Pines (dall’8 gennaio su Sky)
    Dai gialli della scrittrice Louise Penny, Alfred Molina in un poliziesco ambientato nel Quebec, in Canada.
  • Ecco a voi i Chippendales (dall’11 gennaio su Disney+)
    Biopic ispirato al libro Deadly Dance: The Chippendales Murders di K. Scot Macdonald e Patrick MontesDeOca, il racconto drammatico della nascita della prima compagnia di danza, i Chippendales, a mettere in scena spogliarelli maschili.
  • Trial by Fire – Un fuoco che non si spegne (dal 13 gennaio su Netflix)
    Miniserie indiana (in 4 puntate) adattamento del libro bestseller Trial by Fire: The Tragic Tale of the Uphaar Fire Tragedy firmato da Neelam e Shekhar Krishnamoorthy, che racconta l’incendio del cinema Uphaar avvenuto nel 1997 e le conseguenze per chi fu coinvolto, vittime e famiglie.
  • Lockwood & Co. (dal 27 gennaio su Netflix)
    Serie fantasy che prende spunto dai romanzi young adult di Jonathan Stroud (editi in Italia da Salani) e che ci trascinerà in Inghilterra, dove una ragazza con straordinarie doti paranormali si unisce a due capaci adolescenti di una piccola agenzia cacciafantasmi per lottare contro gli spiriti mortali che terrorizzano Londra.

DA RECUPERARE

LA REGINA DEGLI SCACCHI

MINISERIE-TV (2020) – 7 EPISODI

Trasmissione originale: Netflix dal 23 ottobre 2020
Trasmissione italiana: Netflix dal 23 ottobre 2020

Ispirazione letteraria: basata su La Regina degli scacchi (The Queen’s Gambit, 1983) di Walter Tevis

con Evin Ahmad, Dada Fungula Bozela, Alexander Abdallah, Yasmine Garbi, Ayaan Ahmed

SINOSSI LIBRO: A otto anni, Beth Harmon sembra destinata a un’esistenza squallida come l’orfanotrofio in cui è rinchiusa: sola, timida, bruttina, dipendente dai farmaci, terrorizzata da un mondo che non capisce e che non fa nulla per capirla. Finché un giorno si trova davanti una scacchiera. Gli scacchi diventano per lei non soltanto un sollievo, ma anche una speranza: schemi di gioco come la Difesa Siciliana e il Gambetto di Donna (“The Queen’s Gambit” è proprio il titolo originale di questo romanzo) sono le armi con cui comincia a farsi prodigiosamente strada nei tornei e nella vita. Ma se da una parte la sua precoce ascesa all’olimpo scacchistico la porta ad affrontare, a soli diciassette anni, il campione mondiale, la maestria di giocatrice non basta a liberarla dalla paura, dalla solitudine e dalle tendenze autodistruttive. Un ritratto femminile, una storia che vibra di suspense, un atto d’amore verso il gioco più nobile e spietato: “La regina degli scacchi” è l’ultimo romanzo di uno scrittore che è riuscito a narrare come pochi altri l’alienazione, la speranza e il riscatto.

LA SERIE TV: Prima di tutto, bisogna capirne di scacchi per tuffarsi nei 7 episodi di questa miniserie non a caso segnalata nel catalogo Netflix come “serie da guardare in una serata”? Per quei pochi che dovessero ancora recuperarla, no, non è assolutamente necessario, visto che lo scopo principale di questa storia non è capire come funziona una scacchiera, ma entrare più nei meccanismi (e processi mentali) di chi ne muove i pezzi.

E inutile dire che la pedina fondamentale dello show è Lei: non tanto il personaggio Beth Harmon, ma proprio l’attrice che le presta volto e voce, una magnetica Anya Taylor-Joy, con i suoi occhi così distanti tra loro da conferirle l’aspetto di un bellissimo (e temibile) squalo martello. Anche se il miglior modo per descriverla è forse quello usato nel poster della serie. Quando Beth/Anya inizia una partita, appoggia il mento sulle sue delicate mani giunte, come una mantide femmina che si prepara a banchettare, fissando il suo avversario con un’intensità così inflessibile che almeno una volta potreste dover distogliere lo sguardo dallo schermo.

Beth ama il gioco e da quando, giovane orfana, ha iniziato a sgattaiolare via dalle lezioni alla Methuen Home For Girls per giocare a scacchi nel seminterrato con il burbero bidello, il signor Shaibel, gli scacchi, per lei, sono un rifugio. Il suo problema è tutto il resto. Quando Beth aveva nove anni, sua madre naturale si uccise schiantando la sua auto, con Beth ancora dentro. Dopo il periodo in orfanotrofio, viene quindi adottata da una coppia infelice, i Wheatley, che divorziano poco dopo che lei si è trasferita. Alma Wheatley, la madre adottiva con cui rimane, è un tipo familiare, la (non)classica casalinga depressa di metà secolo (siamo negli anni ’50), una furia ai grandi magazzini, ma un disastro a casa. Lei e Beth hanno una dipendenza in comune: inalare pugni di pillole tranquillanti verdi per mantenere una facciata di equilibrio.

Questa premessa potrebbe suggerire che ci troviamo di fronte ad una prevedibile variazione sul tema del genio danneggiato, la povera brillante ragazza prodigio trattenuta solo da traumi sepolti. Ma in verità, quando la storia va in avanti di qualche anno per seguire Beth attraverso la sua adolescenza e la prima età adulta, più che oscuro dramma psicologico o avvincente racconto di una disciplina sportiva, La regina degli scacchi sembra più il racconto di formazione di una supereroina.

Beth è assidua, seria, colta, quasi indifferente nei suoi studi di strategie come il Ruy Lopez e la Difesa Siciliana (da adolescente, è così disperata di leggere riviste di scacchi che ruba dalla farmacia locale). La vediamo decimare i suoi avversari, vincendo facilmente tornei contro uomini che hanno il doppio della sua età. Impara a parlare russo in previsione di affrontare un giorno i temibili campioni sovietici (cosa che poi accadrà). Gioca da sola per ore: nella sua testa, sul bordo della vasca da bagno, sul bancone della cucina. Raramente vacilla nella sua fiducia, e per questo può spesso apparire arrogante o almeno disarmantemente imperturbabile.

Un’altra delle principali critiche mosse al suo personaggio e alla serie ricordo poi che riguardasse l’eccesiva figaggine della Taylor-Joy – qui non solo snella, bianca, con il viso di una bambola di porcellana e capace di spaccare i culi all’altro sesso in una disciplina tradizionalmente per soli uomini – ma anche agghindata come se, in ogni situazione, comprese le interviste rilaciate alla stampa, stesse affrontando uno shooting editoriale con Richard Avedon. In verità, se lo chiedete a me, l’aspetto glamour della serie è un’altra delle sue piacevilissime sovversioni, qui abilmente introdotto dal personaggio della madre adottiva.

Alma infatti non capisce nulla di scacchi, ma come controparte del loro speciale accordo di socie in affari, ha altre abilità da insegnare: attraverso di lei, Beth viene introdotta ai cosmetici, alla musica classica, alla sua prima birra e ai primi ragazzi. Ma soprattutto inizia a sviluppare un talento di prim’ordine per la moda con la stessa studiata meticolosità che porta alla scacchiera, e nel corso dello show il suo look si evolve di pari passo con il suo gioco. Spende le sue prime vincite di scacchi su un nuovo abito a quadri; cresce la sua frangia smussata e adotta un caschetto più femminile, alla Rita Hayworth.

Il suo abbigliamento, insieme agli interni abbaglianti della serie (non solo la casa dei Wheatley, con una sontuosa sfilata di carta da parati floreale color sorbetto, ma anche le numerose suite d’albergo sciccose in cui Alma e Beth soggiornano durante i tornei), richiamano alla mente gli incantesimi estetici di Mad Men, il pezzo d’epoca degli anni Sessanta rispetto al quale ogni altro pezzo d’epoca degli anni Sessanta sarà per sempre chiamato a confrontarsi. In The Queen’s Gambit (titolo originale che si riferisce ad una mossa parecchio audace), il gioco degli scacchi, perde quindi la sua sfacciataggine e boriosità e rivela un’eleganza ammaliante (e, va detto, a volte anche erotica), trovando un’improbabile sinergia tra l’inebriante interiorità degli scacchi e il regno sensuale dello stile.

Si chiude qui, anche per questo mese, il nostro angolo sulle novità televisive tratte da libri presenti in palinsesto, che naturalmente speriamo possano tornare utili (fatecelo sapere nei commenti) nella scelta delle serie-tv che vi accompegneranno in questo periodo.

Come sempre, se potete, condividete a manetta sui social e nuovo appuntamento al prossimo mese, quando Libri in TV tornerà per raccontarvi il meglio (o il peggio) passato in streaming e/o in TV. Se vorrete, sempre su questi schermi.

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19 Commenti
  1. Francesco M.

    Quando si dice cronache d’arte. Quello è. Prosa giornalistica di livello che scivola senza increspature e non banalizza mai alcuna descrizione, non avendo paura di dare voce a chi, da cronista, offre una percezione di un gusto che è espressione del suo tempo ma sempre figlio della storia.

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  2. MATTIA FEDERICO

    Insomma, un buon motivo per restare a casa con questo freddo. 🤩 Qualche serie mi intriga, grazie per la pubblicità.😬😬💪

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  3. Vincenzo Tropepe

    È sempre un piacere leggere i tuoi articoli. All’inizio pensavo di non farcela ma poi, man mano che leggevo, mi sono ritrovato attirato da un vortice di curiosità e voglia di sapere. Alla fine, mi sono messo alla ricerca di qualche serie citata, sono stato folgorato da questo articolo. Come sempre, bravissimo.

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    • Bingewatcher

      È innanzitutto un piacere (ed un onore) per me ritrovarti anche qui, caro Enzo (per quei pochi che non lo sapessero, il signor Tropepe è un apprezzato musicista blues dal look assai distintivo che, se nato negli States, avremmo probabilmente già visto scritturato come personaggio in una serie di Kurt Sutter o in un film di Tarantino).

      La formula dell’articolo – e non sei il primo a farlo notare – mette in effetti a dura prova anche i lettori più volenterosi, e quindi grazie intanto per essere arrivato alla fine. Il premio (alla pazienza e alla costanza, se non è la prima volta che leggi) è in questo caso rappresentato da una chicca musicale su The Last of US (magari uno dei titoli della lista che avevi puntato): insieme alla splendida colonna sonora del 2 volte premio Oscar Gustavo Santaolalla (a cui non ho accennato per non andare ancora più lungo…), The Last of US – Part II (e qui mi riferisco al videogioco, musicato sempre da Santaolalla) si lascia ricordare anche per essere stato uno dei primi titoli a diventare virale perchè dava la possibilità ai giocatori di far suonare la chitarra al proprio avatar-personaggio in qualsiasi momento del gioco.

      Sì okay, bello, ma a che serve suonare la chitarra in un videogame quando posso farlo dal vivo? Ma perchè suonare Never Let Me Down Again dei Depeche Mode (altro pezzo tornato virale proprio grazie alla serie) dentro ad un videogioco post-apocalittico è comunque meglio di non suonarla affatto. Eh eh eh. Alla prossima.

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  4. luca

    Ben ritrovato in codesto inizio d’anno, anche se il mio commento giunge ormai a Febbraio (siamo già a Pasqua, come si dice dalle nostre parti).

    Non posso che fare i complimenti per la scelta delle serie proposte, non da tutti, non per tutti.
    Piccola deviazione dallo spirito della rubrica, per discutere in due righe del già citato “Dahmer “. Non ho ancora visto la serie ma dal promo sembrava promettente e anche Peters nei panni dell’insospettabile Cannibale di Milwaukee, rende parecchio. Credo un riconoscimento meritato a scatola (per me) ancora chiusa.

    Venendo invece alle proposte mensili, rimango assolutamente colpito da “Makanai”, per l’ambientazione, il genere e la tematica trattata. Essendo cresciuto a pane e Rumiko Takahashi, tanto per citare un altro mostro sacro dello Shōnen manga, ho da sempre nutrito un vivo interesse e voglia d’immersione in quel magico e caleidoscopico mondo del Sol Levante, che nei manga e anime ci viene propinato sempre con la consueta dovizia di particolari, con quella voglia di mostrare tutte le sfaccettature di una cultura così antica e diversa dalla nostra; soprattutto attraverso il “non detto”, il “fatto vedere”, “fatto notare”, il “fatto sentire” con quella discrezione ed educazione quasi snervante (e di snervante c’è la nostra ignoranza nel non cogliere), che ci imporrebbe anni di studio prima di poter apprezzare una scena di un manga, anime, un semplice frame, capace di comunicare secoli di emozioni con il solo cadere a terra di un singolo petalo di fiore di ciliegio staccato dal vento.
    La serie, ne sono certo, non deluderà, vistone il curatore e l’autore del manga di origine. E qui, a rischio di diventare monotono, mi ripeto nella sensazione ricevuta alla prima lettura della recensione. Due protagoniste (un classico della narrazione), due caratteri agli antipodi (altro “banalissimo” classico), due passioni diverse (ennesimo espediente narrativo dal sapore di “minestra riscaldata”), forse anche il solito imbarazzo di scelta per chi si vorrà tifare.
    Cosa può rendere appetibile (è proprio il caso di dirlo) la visione di tale apparente clichè? Forse il far vedere che l’arte della geisha richiede sforzi, sacrifici e tanta abnegazione, evidente nella cura di ogni singola piega del proprio abito, di ogni singolo sorriso, del gesto stesso di porgere una bevanda calda al termine della Cerimonia del Thè? O forse mostrare la passione che si può avere nel cucinare dei piatti i cui ingredienti sono meditazione, semplicità millenaria, studio e amore e rispetto verso il prossimo?

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    • Bingewatcher

      Ciao Luca, ben ritrovato anche a te, sempre un piacere leggerti.

      Proseguendo con la digressione su Dahmer, da fan di Ryan Murphy della prima ora (sin dai tempi di Popular su MTV), posso solo aggiungere che, a mio modestissimo parere, non è tra i suoi lavori migliori, tanto da avergli preferito, sullo stesso personaggio, la serie documentario disponibile sempre su Netflix, ma lascio naturalmente a te il giudizio finale quando avrai aperto la scatola…

      Su Makanai, intanto mi fa piacere che stia destando così tanta curiosità nei commenti. Io, devo essere sincero, non sono un addicted dei manga (a differenza della mia compagna), ma di cinema e di serie-tv/anime di marca nipponica in vita mia ne ho sempre masticato parecchio (e anche in questo momento sto guardando soprattutto serie orientali), e quindi un prodotto del genere non poteva che essere per me un invito irresistibile. Spero lo sarà anche per te e, concludendo con la tua domanda, perché dover scegliere? In questo caso si possono avere entrambi: ottimo comfort food e cultura geisha!

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  5. il paiolo

    Ho sempre avuto un debole per i film riguardanti storie vere, non conoscevo questi temi, stasera ne guarderò uno da te consigliato…grazie mille.

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  6. Manu Luna

    Bentrovato Bingewatcher! Ricchi e variegati contenuti anche per queste nuove proposte che, per quanto mi riguarda, mette ai primi posti tra quelle viste negli ultimi tempi “La regina degli scacchi”, con la straordinaria Anya Taylor-Joy al timone di episodi uno più bello dell’altro, in questa serie che la vede come protagonista e che ne ha rivelato le doti di attrice a chi ancora le ignorava.

    Ho trovato molto calzante la tua recensione al riguardo, così come per un’altra serie, che però non ho ancora visto ma che grazie alla tua descrizione, mi ha ispirato e internerito (e fatto pure venire un pò fame), Makanai.

    “La vita bugiarda degli adulti” sono stata lì lì per iniziarla più volte, ammetto che mi tenta in primis la fonte dalla quale viene la storia, Elena Ferrante, che conosco per aver visto in TV “L’amica geniale”, che ho molto amato, pur non dando torto ad alcuni “limiti” che ben evidenzi tu facendo il nome di qualche personaggio (maschile) della stessa. La seguirò per verificarne io stessa le mie impressioni e differenze con quest’altra.

    Grazie per il bell’articolo come sempre e a presto!

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    • Bingewatcher

      Makanai è un piccolo goiellino, onesto e genuino, a differenza di altre serie che si piacciono troppo o si prendono troppo sul serio… Alla prossima!

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  7. Antonella

    Grazie per queste nuove segnalazioni e complimenti per il meticoloso e attento lavoro che vi è dietro 👏 Almeno un paio (Makanai e Il miniaturista) stuzzicano parecchio la mia curiosità! Mi organizzerò presto per recuperarle e spero di rimanerne affascinata per come la vostra accurata recensione promette 😉

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    • Giuseppe

      Articolo ben fatto e ben strutturato, hai una chiara visione di quello che scrivi, argomenti in maniera dettagliata e critica ogni serie esponendo il punto di vista, ma senza spoilerare e comunque lasciando un’ aperta valutazione al lettore.
      Nella mia ormai interminabile lista da guardare vi sono the last of us e the house of the dragons….
      Dahmer visto e a parer mio un piccolo capolavoro, interpretazione magistrale da parte dell’ attore, consigliatissima a chi piace il genere.
      Saluti
      Giuseppe

      Rispondi
      • Bingewatcher

        Di Dahmer, consiglio soprattutto la serie documentario a lui dedicata nel ciclo Conversazioni con un killer, sempre su Netflix, che ho preferito alla serie di Ryan Murphy. Grazie per gli apprezzamenti e a presto.

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    • Bingewatcher

      Ben felice di avere smosso la tua curiosità, Antonella (2). Facci sapere.

      Rispondi
  8. Mario

    Non avendo molto tempo per leggere approfonditamente tutte le presentazioni proposteci dallo staff, mi sento però in dovere di lodare il gran lavoro sviluppato per sottoporci una scelta.
    Semplicemente Grazie!!

    Rispondi
    • Bingewatcher

      La formula scelta per la rubrica mensile, che riunisce 5 articoli (+1) in uno solo, è in effetti un bell’impegno anche per il lettore. Grazie in ogni caso per averci dato un’occhiata.

      Rispondi
    • Peppe

      Dopo l’esaustivo riassunto sulle serie TV del 2022 premiate con i Golden Globe, Bingewatcher conferma con questo articolo di essere molto ferrato nel settore, tra le nuove proposte mi colpisce sicuramente la serie su Madoff che però mi turba e smuove pensieri, perché fautore di ciò che è stata successivamente classificata come “crisi globale” nata in quello che al tempo era il paese secondo me più potente al mondo e che è riuscito a coinvolgere tutti per non crollare sui mercati… non sarò un economista ma per le leggi di un paese molto ligio all’operato fiscale, mi viene da domandare come sia potuto succedere ciò e perché proprio in quel momento, del resto le guerre costano…
      “La vita bugiarda degli adulti” potrebbe risultare interessante perché ispirata ad un autrice capace come Elena Ferrante e nel cast vanta una Valeria Golino che ritengo una delle attrici migliori del panorama italiano…
      “The last of us” è il titolo che attira più la mia attenzione anche perché le primissime righe della sinossi del videogioco mi hanno fatto tornare in mente la serie cartoon Ken Shiro, temi diversi ma alcuni punti comuni…
      Grazie per le proposte e complimenti per l’accuratezza dell’articolo…

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      • Bingewatcher

        Gli anni della “crisi globale” sono sicuramente uno dei periodi più complicati, anche dal punto di vista politico, della storia moderna, egregiamente raccontati anche ne La grande scommessa (film del 2015 che mi permetto di consigliare). Quello che emerge 10-15 anni dopo è che chi doveva vigilare, con le amministrazioni politiche in testa (anche se quella Obama si era appena insediata), non poteva non sapere . Anche quello a suo modo uno schema Ponzi: si continua a rifilare al grande pubblico la Grande Bugia, pur sapendo che la pentola prima o poi dovrà esplodere… E anche questo, a suo modo, un racconto del più distorto sogno americano.

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  9. Antonella

    Quando dopo cena mio marito mi propone di guardare un film spesso passano decide di minuti prima che si riesca ad individuarne uno che sia di gradimento ad entrambi. Questa rubrica cosi ben dettagliata sarà sicuramente una guida da tenere presente. Inizierò con la regina degli scacchi perchè il libro mi ha appassionata tantissimo, e poi a seguire la traccia da voi sapientemente esposta.

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    • Bingewatcher

      La scelta del titolo in grado di far svoltare una serata è una delle problematiche più sentite della società moderna, oggi in grado di affliggere anche chi, come il sottoscritto, di fronte al catalogo pressochè infinito delle varie piattaforme, deve accorgersi, dopo un po’, di avere già visto quasi tutto. Ecco perchè in alcuni casi la scelta migliore è sempre quella di andare sul sicuro, che è anche il motivo per cui insieme ai nuovi titoli, proponiamo ogni mese anche uno che meriti di essere ripescato dal passato. La scelta non può che ovviamente trovarmi d’accordo. Buona Regina.

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