GLI ESTIVI di Luca Ricci

Dopo Gli autunnali, Luca Ricci ci consegna il secondo tassello della quadrilogia delle stagioni in un romanzo visionario ed esatto allo stesso tempo, capace d’indagare l’ossessione d’amore in tutte le sue forme. Gli estivi non è un romanzo sentimentale, ma ambisce per certi aspetti a esserne una parodia, dato che ne ricalca gli stereotipi, prende in prestito caratteristiche e smonta il genere.

SCHEDA LIBRO

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 GLI ESTIVI

  • Autore: Luca Ricci
  • Editore: La Nave di Teseo
  • Data di uscita:  27 Febbraio 2020
  • Pagine: 229 p.
  • Prezzo: 18 €
  • Genere: Narrativa
  • EAN: 9788834602058

TRAMA

È la notte di San Lorenzo quando un uomo nota una ragazzina al tavolo di un ristorante vista mare. Lei gli appare a sorpresa, come “un desiderio che non avevo espresso, esaudito da una stella che non avevo visto cadere”. Eppure quell’incontro fortuito lascia il segno, e tra i due comincia una storia particolare, vissuta sotto l’insegna tarlata della crudeltà, consumata da un’estate all’altra, come un appuntamento fisso. Tutt’intorno, Roma, la Pontina, il Circeo sono luoghi avvolti dalla stessa luce spietata che abbaglia i personaggi, la luce insolente dell’estate che a volte non concede “il margine di un’ombra, una possibilità di fuga rispetto a ciò che si è realmente”.

RECENSIONE

Ci sono alcuni periodi dell’anno in cui le aspettative sulle nostre vite, hanno un’evitabile e molto spesso insana, impennata. E in cui, al loro avvicinarsi, si allaccia l’inconscia pretesa che in prossimità o durante quei giorni, si possa celare il potere di far prendere al nostro destino, una piega piuttosto che un’altra, dando così origine a quelli che desidereremmo essere sostanziali o impercettibili cambiamenti, che ci permettano di mettere un po’ di vita vissuta da parte, per affrontare con più stimolo, ciò che dell’altro tempo rimane. Un tempo che in realtà è equamente distribuito per tutte le stagioni ma che, in estate, chissà perchè, ci sembra voli più in fretta. Proprio quella in cui riponiamo più sogni, voglia di incontri, di mete lontane, di esperienze che ci facciano staccare da chi siamo e da cosa (non) abbiamo, per poi forse, miracolosamente, tornare più consapevoli che è solo la fuga in quanto tale ad attrarci e che solo per merito di questa, sappiamo poi apprezzare la normalità delle nostre routine. Si cerca il brivido, per potersi ricordare che è l’eccezione che lo rende auspicabile, difficilmente realizzabile e per questo ancora più idealizzato.

L’estate era l’unica stagione che doveva essere obliata mentre la si viveva, per sopravviverle; al contrario delle altre stagioni, di cui era bello avere consapevolezza (lo struggimento autunnale, la letargia invernale, il risveglio primaverile), l’incoscienza era la cifra dell’estate. Si faceva fatica a vedere, a respirare. E d’altronde l’estate non si avvaleva sempre e comunque di un tratto onirico? In fin dei conti era una grande sospensione che di per sé metteva in pausa le attività ordinarie – quindi concrete, tangibili – della vita di ciascuno. L’estate era l’allucinazione annuale che il consorzio umano aveva concordato per dare un senso di realtà al resto dell’anno, alle stagioni che rimanevano. L’estate aveva tutte le carte in regola per costituirsi come un cauchemar che distorceva il tempo (nonostante a posteriori fosse percepita come cortissima, non passava mai) e lo spazio (si viaggiava, si villeggiava sempre in luoghi speciali, mai veramente nostri, e perciò bizzarri, esotici).

Proprio la stagione più calda e il suo puntuale ritorno nell’arco di 15 estati, una per ogni capitolo, è scelta dallo scrittore Luca Ricci, per narrarci la storia contenuta ne “Gli estivi”, di un uomo di mezza età che, passeggiando sul lungomare del suo luogo di villeggiatura preferito – il Circeo – durante la notte di San Lorenzo, quella delle stelle cadenti, dei desideri, degli sguardi scaldati dalle fiamme dei falò, la notte in cui tutto sembra possibile, rimane incatenato dagli occhi di una ragazza molto più giovane di lui, nel bel mezzo di una delle tante conversazioni tra il serio, il filosofico, l’ironico e lo sbeffeggio sul matrimonio, in cui è impegnato proprio con la sua consorte Ester, con cui è sposato da molti anni e che lo sorprende in quanto a longevità ma lo rassicura per le dinamiche che vi sono dentro, perchè pacificato con l’idea che “il matrimonio è un atto di fondazione, mentre l’amore è un terremoto. Ecco perché chi si ama non dovrebbe mai sposarsi, o chi si sposa non dovrebbe mai amarsi”.

Notte, che firma l’origine della sua fascinazione per un rapporto che non ha senso di esistere (nella sua testa esisterà eccome), ma che cercherà in tutti i modi di far iniziare (e al contempo allontanare), quello con questa giovane donna per cui arriverà a struggersi e distruggersi, e che da quel momento e per molti anni, rimarrà un suo tarlo, in realtà terrificante e sublime spunto, per dar vita ad una serie di riflessioni sul desiderio, l’amore, la sua incompiutezza (è quella la forma più alta d’amore, per lui?), la gelosia, il rancore, l’orgoglio, l’abbandono, lo sgarbo del tempo che passa, anche se ad un certo punto, risentendo parlare gli adolescenti di quell’oggi, saggiamente si chiede: “Allora non c’era un’età più disperata di un’altra? Si attraversavano solo disperazioni diverse e il resto non era altro che una prospettiva distorta del tempo, l’invidia insensata per tutto ciò che era già passato?”

Non avevamo attraversato nessuna delle fasi tipiche di qualunque storia, grande o piccola che fosse, entusiasmo, stabilizzazione, affetto, noia, disprezzo, perdono. Non eravamo stati nient’altro che un’introduzione a un discorso mai cominciato, ci eravamo pasciuti nelle premesse. E d’altronde quel cincischiare non apparteneva a tutti? La natura umana aveva un debole per le premesse, e anzi si sarebbe potuto asserire che la vita di ciascun individuo in fondo non fosse altro che una premessa a qualcosa di cui sfuggiva costantemente il senso. Il concetto di premessa strutturava parimenti la vita naturale e quella metafisica. Ogni singola giornata si poteva intendere in quanto premessa a qualcos’altro: la mattina al pomeriggio, il pomeriggio alla sera, la sera alla notte e la notte a una nuova mattina in tutto e per tutto uguale alla precedente. Ogni giornata così non era nient’altro che una premessa al giorno seguente, senza tuttavia che si giungesse mai al discorso che a quella premessa sarebbe dovuto seguire, e così il nostro agire e pensare somigliava a un sogno un po’ sconclusionato. Allo stesso modo, la vita poteva essere intesa come premessa a un discorso che si sarebbe chiarito soltanto dopo la morte, nell’aldilà o chissà dove.

E mentre il lettore si chiede se questi due mondi così lontani, finiranno per incontrarsi davvero, oltre che scontrarsi al gioco della seduzione che illude di avvicinare e spesso lascia soli, si gode al contempo, le deviazioni di pensiero che Ricci fa prendere al suo protagonista, dandogli il ruolo di scrittore (in crisi, come è giusto aspettarsi) che alterna al lavoro principale, funzionario Rai (poco stimolante, come è altrettanto giusto aspettarsi) e che dà vita ad illuminanti conversazioni con quello che è il suo amico/editore, e sull’importanza della scrittura come traccia per lasciare qualcosa di sé che altrimenti non si riuscirebbe a palesare in altro modo e alle difficoltà di farlo accettare a tutti gli effetti, come un lavoro.

Scrivere, prima di tutto, era un immane sforzo di logica. Bisognava diventare pratici. Un romanzo non era che un’infinita serie di problemi da risolvere. Ogni singola parola – che battesse tutte le altre nella corsa alla vita letteraria in un testo – rappresentava una scelta, e lo scrittore non doveva essere che uno strepitoso problem solving.

E’ il terzo libro dell’autore che leggo (prima del già citato Gli autunnali, ho recensito Gotico Rosa) e mi rendo conto che al di là della storia che imbastisce, dei personaggi che crea, delle dinamiche che attua, è l’impronta che la sua mente lascia in ogni racconto, la sua visione delle cose, la mai banalità dei concetti espressi, tutti, che vado ricercando, come un’amante della musica che non fa caso al brano che ascolta ma a quel timbro, che riguarda chi lo canta. Una cifra stilistica che mi attrae anche quando non ho simpatia per chi anima i suoi libri (e mi è successo spesso) e che ti dona la sensazione di aver ascoltato qualcuno sospendendo giudizi e preconcetti, che è la forma più intelligente del mettersi in ascolto dell’altro, anche quando l’altro è “solo” un libro. Ogni lettore, alla fine, trasforma il tuo romanzo in quello che ci vede lui, e diventa il suo romanzo.

L’amore era solo l’occupazione dei nullatenenti, lo scacciapensieri di chi non aveva niente di meglio da fare. E quale periodo era stato meno indaffarato del nostro? Non eravamo un coacervo di generazioni debosciate che non avevano visto la guerra né patito la fame? Non avevamo maturato una dipendenza imbarazzante nei confronti di una serie di scatole: console, computer, telefonino, tablet, smartphone? Non eravamo sprovvisti della Storia, e per quella stessa ragione disoccupati, vacanti?

E a proposito degli sgarbi del tempo che passa, che citavo prima e a cui, in molti passaggi del libro, il protagonista torna in maniera quasi masochistica, credo che la vita dovrebbe aprire la gente, non chiuderla, renderla meno spaventata, più accessibile, più desiderosa di amare. Qualche volta succede il contrario. E’ praticamente impossibile prevedere chi migliorerà con l’età e chi invece peggiorerà, anche se spesso i fallimenti e la delusione di sé, provocano un restringimento del cuore, che non ci lascia più andare.

NOTE SULL’AUTORE LUCA RICCI

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Luca Ricci è nato a Pisa nel 1974 e vive a Roma. Ha scritto L’amore e altre forme d’odio (2006, premio Chiara, nuova edizione La nave di Teseo, 2020), La persecuzione del rigorista (2008), Come scrivere un best seller in 57 giorni (2009), Mabel dice sì (2012), Fantasmi dell’aldiquà (2014), I difetti fondamentali (2017). Per La nave di Teseo ha pubblicato Gli autunnali (2018, tradotto nei principali paesi europei), Gli estivi (2020), Gli invernali (2021) e I primaverili (2023), che chiude la quadrilogia delle stagioni.

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4 Commenti
  1. Tommaso Cutrì

    Ancora una volta, hai messo in luce un bravissimo autore, bellissima la trama del libro.
    Complimenti

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    • Manu Luna

      Ciao Tommaso, sono felice di riscontrare ad ogni articolo, il tuo interesse e apprezzamento!

      Rispondi
  2. Fabio

    Che bello, riesci sempre a farmi conoscere scrittori che non conosco…e tra questi trovo sempre chicche stupende!
    Sempre belle e accurate le tue recensioni.
    E io non posso non essere sempre presente!

    Grazie Manu!

    Rispondi
    • Manu Luna

      Grazie a te Fabio, per questo entusiasmo tangibile e il tuo prezioso seguito!

      Rispondi
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